In Teaching Italian American Literature, Film, and Popular Culturele due curatrici, Edvige Giunta e Kathleen Zamboni McCormick, hanno chiamato a raccolta 35 autori (25 studiose, 10 studiosi) attivi in istituzioni educative statunitensi (inclusa una voce dalla Nuova Zelanda) per fare il punto della situazione e riflettere su che cosa significhi, oggi, parlare di, e nello specifico insegnare, cultura italoamericana negli Stati Uniti. Il volume è molto composito quanto a tematiche, lucidamente delineate in cinque distinte parti, a loro volta articolate in varie sottosezioni: storia e stato degli studi; letteratura (comprese storia orale, teatro, arti performative); cinema e televisione; approcci «culturali» (indagini su genere e classe); strumenti bibliografici. L’ampiezza degli argomenti e le diverse voci rimandano comunque, per la maggior parte, a interessi e «stili» intellettuali largamente condivisi. La tipologia degli interventi merita qualche distinzione: si alternano saggi veri e propri (Viscusi); analisi dettagliate di singoli testi, fenomeni ed esperienze (Covino, Russo, Sciorra, Ruffner, Fiore); dense presentazioni di interi campi d’indagine (Gabaccia, Tamburri [con due contributi], Pietralunga, Bona, De Angelis, Gattuso Hendin, Romeo, Aleandri, Bondanella, Kvidera, Serra); e un ampio numero di testimonianze didattiche, che danno il tono all’intero volume, fornendo un’immagine dei reali rapporti e interessi operanti in classe, da una parte all’altra degli Stati Uniti, durante le lezioni di una materia il cui status, culturale e accademico ma ancora più immediatamente curricolare, è in fase di vistoso assestamento. Gardaphé, non a caso, relaziona sui risvolti politico-universitari che negli ultimi anni hanno determinato la nascita stessa di un campo che – in quanto tale – è inesistente in Italia: non solo, nella penisola, manca la «cosa», inconfrontabili risultano anche i contesti pedagogici. Si indovina che le classi di cui si parla in Teachingcontino pochi studenti; in Italia un’attività critica e dialettica è impedita da corsi con una frequentazione che facilmente si aggira intorno ai 200 studenti. Il volume contiene, fra l’altro, sintetiche presentazioni sulla storia della letteratura e delle arti visive e teatrali italoamericane, dall’Ottocento ai giorni nostri, affrontate da una molteplicità di prospettive (incluso – ed è una forte novità – il punto di vista degli studi di provenienza italiana); affondi interpretativi su Underworlde White Noise di DeLillo, su Christ in Concretedi di Donato, su Happy Days e i Sopranos, sullo sguardo comparato dei viaggiatori americani e italiani nei rispettivi paesi; un’intera sezione sulla memorialistica; un’altra riservata ad approcci storico-teorici su questioni di «razza e genere».
Di primo acchito, come parrebbe indicare il titolo, il taglio del discorso è di tipo didattico: ma si capisce che alle curatrici va innanzitutto il merito di aver condotto in porto l’impresa allestendo un volume che si propone più come reference bookper l’intero campo degli studi italoamericani che non come semplice raccolta di esperienze e riflessioni sull’insegnamento. Un’operazione ambiziosa che allarga quindi le prospettive, sollecitando considerazioni critiche.
D’altra parte, anche la pedagogia di cui si discute in Teaching, comunque si ponga rispetto al suo oggetto, opera sempre in maniera tale da essere «diretta allo studente» (Giannini Quinn), stimolandolo a una conoscenza che si traduce quasi immediatamente in occasione di dibattito: esercizio alla critica e quasi più al criticismo come atteggiamento, applicato in via sperimentale al campo socialmente dato della comunità italoamericana. La prevalenza della postura teorica (più che della teoresi vera e propria) può tendere a porre fra parentesi una discussione sui dati, le opere, gli eventi; prevalgono il momento scientificizzante della definizione, l’interrogarsi continuo e contrastivo sull’identità, un clima polemicamente difensivo: quasi l’articolazione dotta di una terapia di gruppo, che coopta il gruppo-classe in una raffinata operazione introiettiva, con qualche rischio di autoreferenzialità (accade spesso che i corsi di Italian American Studiessiano tenuti da docenti italoamericani a classi largamente italoamericane, ma sarebbe altrettanto curioso se succedesse diversamente). Superata la fase pionieristica della rivendicazione del successo e dell’achievement, si punta ora sulla didattica e sulla presenza nel dibattito culturale come espressione istituzionalizzata di una critica che affonda le sue radici negli indirizzi e interessi post-anni sessanta.
Dunque ampi allargamenti d’indagine, anche piuttosto scontati, visto il taglio apparentemente divulgativo; recupero di un interesse storico nei confronti della radici italiane (più recupero che interesse, si ha talvolta l’impressione: a p. 34, senza batter ciglio, l’Unità d’Italia è datata al 1860); attenzione rivolta all’agencyfemminile in tutte le sue forme; valutazione quasi taumaturgica di qualsiasi manifestazione di creatività («estetica» è vocabolo e pensiero sconosciuto). Il «campo» italoamericano viene presentato come intrinsecamente «d’opposizione»: petitio principii dalle migliori intenzioni. Del resto, il panorama mainstreamdella società e cultura statunitensi è abbastanza demonizzato, come si addice a lastrici costruiti con tanta buona volontà. La politica ufficiale è pressoché inesistente: sono menzionati LaGuardia e Marcantonio, ma assolutamente non Mario Cuomo e Nancy Pelosi. L’unanimismo trionfante e fascio-rooseveltiano dei Pope, dei prominenti e delle maggioranze silenziose, così simile a quello della penisola, è espunto, e del resto in un simile panorama striderebbe. La struttura del volume esprime una coerenza vincente di fondo che corrisponde al raggiungimento di uno status; in questo senso, Teachingrispecchia – con buona pace degli orizzonti «globali» – una condizione molto statunitense, e costituisce in un certo senso il manifesto di una generazione accolta nel seno della casa madre del mainstream accademico Usa, la celebre Modern Language Association (mla), che pubblica il libro con la consueta cura, non priva di discutibili pedanterie (le dieci pagine finali di Resources, non all’altezza di quanto le precede). Non pare un caso che ci siano solo sporadici accenni alle realtà socioculturali nate dall’emigrazione degli italiani nel resto delle Americhe, in Europa e in Australia.
Imprese di questo tipo non andrebbero lette cover to cover, ma sono concepite per una fruizione mirata e parziale; tuttavia – ribadito il caveat– vanno segnalati contributi innovativi e di forte sensibilità (Covino sulla poesia; Centineo sugli usi linguistici nei film), come pure – ad libitum – omissioni e/o censure: direi almeno Tosches e Paglia in ambito creativo e critico, Bertellini e Pugliese in quello degli studi. Scorsese, Coppola, Madonna, ne escono sorprendentemente ridimensionati; di Donato, canonizzato (continuando a sottacere il suo fallocentrismo e altro: This Woman, Immigrant Saint, «Christ in Plastic»); ma in generale è lo spirito di gruppo a prevalere, non le individualità, in corrispondenza con un quotidiano lavoro «dal basso» in cui gli insegnanti interagiscono con gli studenti alla ricerca di un senso condiviso. D’altra parte, in quella che viene definita un’era «post-Sopranos», il gruppo-classe compensa la polverizzazione delle comunità e la frammentazione, o indefinibilità, dell’avatar «famiglia». I docenti (più spesso le docenti) mostrano di amare discorsi in prima persona: mettendosi in gioco, ma correndo anche il rischio dell’autoreferenzialità. «Italian American», infine, è più aggettivo che sostantivo: una qualità, si percepisce, più che una tangibile presenza. Insegnarla, un’avventura critica, prima ancora che un percorso di ricerca.
Martino Marazzi