Pur nell’ambito di una fiacca storiografia relativa al periodo studiato, studi attenti sul fascismo e gli emigrati italiani in Uruguay e sul fascismo e i suoi rapporti con i governi della Repubblica Orientale, non sono mancati. Basti ricordare i diversi lavori di Juan Andrés Bresciano, che ha affrontato il problema della diffusione del fascismo nella collettività italo-uruguayana studiandone i vari aspetti, soprattutto culturali; di Juan Antonio Oddone e di Ana Maria Rodríguez Ayçaguer, che si sono soffermati su relazioni diplomatiche, avvenimenti e personaggi di particolare importanza, come la guerra d’Etiopia e la figura di Serafino Mazzolini, un «ventottista» che incarna il modello del «perfetto» diplomatico in camicia nera.
Tuttavia, abbiamo avuto, da una parte, un arcipelago di ricerche focalizzate su singoli momenti e specifiche situazioni; dall’altra, tentativi modesti di fare una storia complessiva di quegli anni: quando qualcuno ha provato a dedicarvi uno studio tendenzialmente di sintesi, infatti, il risultato non è stato per nulla esaltante.
Questa storia complessiva che mancava, si può dire subito, riesce e bene a Valerio Giannattasio con questo suo fresco volume che completa (ma non chiude) un ciclo di ricerche anche edite. Il libro, infatti, combinando fonti diverse, non solo ha allargato il campo d’indagine, come rivendica l’autore, ma ha costruito ponti critici in quell’arcipelago di studi, permettendone una rilettura in un’ottica più vasta e articolata.
Nelle intenzioni dell’autore, questo volume aspirava a essere «solamente» una storia delle relazioni tra Italia e Uruguay tra le due guerre nonché della proiezione del fascismo italiano sull’altra sponda del Plata. Grazie all’analisi e all’incastro di fonti documentali e giornalistiche e di una bibliografia specializzata, però, va oltre e finisce per essere una storia della presenza – e del «peso» – degli italiani e dell’Italia nella «Banda Oriental» in quel periodo, e specialmente negli anni più intensi della campagna propagandistica della Legazione fascista, coincidenti con quelli della dittatura di Gabriel Terra, ammiratore di Mussolini, che si protrasse dal marzo del 1933 per tutto il decennio. Giannattasio, come già detto, non si limita ad analizzare le azioni dei cinque rappresentanti diplomatici che si sono succeduti a Montevideo per divulgare il verbo fascista (con un focus necessario su Mazzolini) ma, nel quadro di rigorosi criteri d’indagine, ricostruisce quasi venti anni di vita della comunità peninsulare alle prese con l’invadenza fascista.
I due corposi capitoli in cui il libro è strutturato, partono dall’avvento di Mussolini al potere e arrivano agli «echi di guerra», passando dai rissosi periodi di radicamento dei Fasci, ai tentativi di penetrazione del fascismo nella collettività e non solo, all’arrivo di Mazzolini a capo della Legazione italiana e al suo idillio con il golpista Terra, di cui fu ascoltato consigliere.
Le fonti diplomatiche italiane e quelle uruguayane, ovviamente, costituiscono lo zoccolo di base della ricerca. Non meno importanti, però, nell’intelligente utilizzo che ne fa l’autore, appaiono le fonti giornalistiche che, anzi, gli consentono una narrazione più viva di quegli avvenimenti, sebbene la quasi totalità dei giornali fossero schierati a fianco del regime mussoliniano.
Il controllo delle istituzioni comunitarie, come in tutti i paesi d’emigrazione, divenne l’obiettivo primario del Fascio e della rappresentanza diplomatica, che operarono in sinergia nell’ottica di una totale fascistizzazione della colonia. Cresciute a liberalismo e democrazia, le vecchie associazioni di emigrati subirono così una sorta di vampirismo ideologico che venne esercitato su molti fronti e con diversi approcci, su cui si addentra il lavoro di Giannattasio. L’obiettivo, però, incontrò forti resistenze dovute alla tradizione democratica del paese nella quale gran parte degli italiani si riconoscevano. Pertanto divenne subito una questione prioritaria la fascistizzazione dei giornali da utilizzare come «cavalli di Troia» nell’azione di propaganda. Cosa che si dimostrò abbastanza semplice perché l’editoria etnica, dopo la scomparsa del quotidiano «L’Italia al Plata» nel 1912, mostrava una debolezza strutturale e una sostanziale dipendenza dai contributi erogati dal governo italiano tramite la Legazione. «L’Italiano», «Pro Patria» e altri fogli, così, non ebbero esitazione a passare dal Re a Mussolini, dal nazionalismo al fascismo. E ciò, con la fondazione di altre testate fiancheggiatrici, anche quotidiane, facilitò l’azione di Fascio e Legazione.
Così, dalla prima visita di un propagandista del fascismo nel paese, quella di Ottavio Dinale nel 1923, all’idillio tra il presidente Terra e Mazzolini che, muovendosi con grande abilità tattica, mediante il coinvolgimento della vecchia dirigenza, come documenta Giannattasio, impresse una forte accelerazione al tentativo di cambiare i comportamenti politici della colonia, la propaganda fascista registrò un crescendo ma non sempre raggiunse gli obiettivi prefissati: la resistenza iniziale, poi superata, della Scuola Italiana e quella insuperata del Circolo Napolitano, rappresentano uno schiaffo per la diplomazia fascista ma soprattutto una ribellione contro l’ingerenza dei Fasci che con la prepotenza avrebbero voluto controllare l’antica associazione patriottica. «Certamente – annota l’autore – la collettività e l’associazionismo italiano non dimostravano quell’unità cui aspiravano il governo di Roma e le élite locali a questo vicine» (p. 122).
È un libro che copre molti vuoti storiografici e stimola nuove ricerche.
Pantaleone Sergi