Il tema degli italiani vittime della Stasi o attivi nella «resistenza al muro» era già stato nel passato oggetto di ricerca da parte dei giornalisti Bruno Zoratto e Gino Ragni, che in diverse pubblicazioni avevano presentato le loro biografie, nonché di un libro-biografia di Elena Sesta sulla storia del Tunnel 29 costruito da due giovani studenti italiani assieme a colleghi tedeschi. La conoscenza e la diffusione del lavoro pionieristico di questi autori erano però rimasti limitati a una cerchia d’interesse ristretto, non raggiungendo un vasto pubblico. Con Storie di vite dimenticate Anna Maria Minutilli intende contribuire alla disamina delle microstorie degli italiani vittime della Stasi all’interno del sistema dell’ex Repubblica democratica tedesca (rdt).
Il volume è diviso in tre capitoli, al quale si aggiunge un’appendice, oltre all’«Introduzione» e alle «Conclusioni». Nei due primi capitoli l’autrice riporta le biografie di italiani e italiane, già presentate nei lavori dagli autori sopra citati. Inoltre, dedica una parte del primo capitolo ai matrimoni misti, come quello di Beate Ulbricht, figlia adottiva del leader comunista della rdt Walter Ulbricht, con l’italiano Ivanko Matteoli, unioni queste che finirono «vittime dell´intransigenza dell’ideologia» (p. 32) nei difficili rapporti fra il pci e il sed. Per facilitare la lettura, i casi di studio sono affrontati da Minutilli in ordine cronologico e, come l’autrice annota, in una presentazione «connessa con gli eventi storici che li sottendono, già illustrati nel precedente capitolo» (p. 12) ovvero nell’introduzione. Il primo capitolo prende in considerazione il periodo degli anni sessanta quando, subito dopo la costruzione del muro, arrivarono a Berlino anche giovani italiani affascinati dalla «città dei due volti» (p. 15): fra loro studenti ma anche operai, che spesso trascorrevano il tempo libero a Berlino Est, dove tutto costava meno. In queste occasioni, come nei casi riportati di Michele Aduani, Vittorio Palmieri e Graziano Bertussin, l’ingenuità e la disponibilità ad aiutare i cittadini dell’Est resero alcuni italiani vittime del sistema della Stasi. Diverso fu, invece, il caso degli studenti Spina e Sesta che assieme a colleghi di università tedeschi costruirono un tunnel per far fuggire amici e conoscenti da Berlino Est a Berlino Ovest, diventando così protagonisti di quella che l’autrice chiama «resistenza italo-tedesca» (p. 73). In un successivo breve paragrafo l’autrice elenca i nominativi di altri italiani imprigionati nel carcere di Bautzen ii.
Il secondo capitolo è dedicato agli anni settanta. Questo periodo vide trasformazioni politiche, come il riconoscimento della rdt e l’avvio della distensione, che contribuirono a una diminuzione del numero delle vittime. Inoltre emerse un altro tipo di emigrante, almeno dal punto di vista generazionale, forse non più impegnato sul versante anti-comunista ma influenzato dal movimento studentesco, come nel caso di Timo Zilli, frequentatore del Republikanischer Club, tra i cui fondatori troviamo due professori come Johannes Agnoli ed Ekkehart Krippendorff, entrambi legati all´Italia e attivi nel Sessantotto tedesco. Zilli fu condannato e torturato più volte perché si ribellava contro l’ordine prussiano di cui la rdt era erede con la sua idea di ordine e militarismo.
Nel terzo capitolo Minutilli presenta le inchieste avviate da Bruno Zoratto, con il sostegno del parlamentare missino e ministro di Alleanza nazionale Mirko Tremaglia, sui mancati risarcimenti alle vittime della Stasi da parte della Repubblica federale tedesca (rft) dopo il 1989. Seguono alcune considerazioni finali, nelle quali l’autrice riflette sulle diverse biografie per criticare l’assenza di un’azione istituzionale del governo italiano a favore dei propri connazionali. A causa dell’indifferenza delle autorità di Roma, per esempio, dopo il suo rilascio da parte della rdt, una delle vittime italiane della Stasi, Elena Sciascia richiese (e ottenne) la cittadinanza della rft. Infine, in un’appendice, Minutilli descrive il sistema carcerario della rdt, dall’arresto alla detenzione preventiva, concludendo che all’interno della macrostoria della Guerra fredda «un ruolo non trascurabile ha giocato la «microstoria»» come quelle degli italiani vittime della Stasi (p. 115). In ragione della mancanza di un capitolo a sé sul contesto storico forse sarebbe stato utile cominciare il volume proprio con questa ricostruzione per rendere plastico e chiaro in quale sistema di repressione e reclusione si ritrovarono gli italiani colpiti dalla Stasi, dando così al lettore già dall’inizio una chiave di interpretazione della situazione e dei pericoli a cui costoro andarono soggetti.
Come ha sostenuto Maurice Halbwachs, esistono diverse memorie collettive, fra queste alcune che diventano memoria di un gruppo sociale e memoria politica ufficiale se legittimate dal potere. Minutilli raccogliendo in un unico volume le storie raccontate in pubblicazioni di nicchia e rimaste a lungo memoria di parte offre un possibile contributo per far diventare memoria collettiva microstorie per anni ignorate dalla storiografia ufficiale e relegata alla controstoria. A trent’anni dalla caduta del Muro sarebbe, però, auspicabile che storici di entrambi i Paesi, sul modello della Commissione storica italo-tedesca, prendessero l’iniziativa per un’indagine sistematica e scientifica del tema, analizzando anche i rapporti diplomatici fra l’Italia e la rdt nonché l’influenza delle relazioni tra la rdt e la rft.
Edith Pichler