La vicenda del pittore anconetano di famiglia ebraica Corrado Cagli (1910-1976), uno degli artisti più originali e prolifici del Novecento italiano, costretto a espatriare dopo l’approvazione delle leggi razziali nell’autunno del 1938, è prima di tutto un intreccio coinvolgente in cui, sullo sfondo di un decennio chiave del secolo scorso, si mescolano gli eventi della grande storia, la crescita artistica e l’avventurosa vita privata di un uomo che ancora giovanissimo era divenuto un esponente di spicco del panorama culturale nazionale. In secondo luogo, la ricerca di Raffaele Bedarida si configura come un eccellente lavoro storiografico, risultato di un appassionato e scrupoloso scavo di archivio, grazie al quale una notevole messe di informazioni è venuta alla luce. La monografia poggia sullo studio di documenti provenienti da vari fondi, nonché sulle memorie della sorella dell’artista Ebe Cagli Seidenberg, sull’esame della corrispondenza da lui intrattenuta con i poeti Libero De Libero e Charles Olson e su altre lettere inedite. Il proposito che anima l’autore è quello di restituire all’esperienza di Cagli la sua complessità, inquadrandola da più angolazioni e seguendo le tante tappe del suo percorso (prima in Francia e in Svizzera, poi, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, a Baltimora, a New York e sulla costa occidentale), senza limitare l’analisi della sua «identità ebraica esclusivamente alla persecuzione razziale» (p. 9).
Il libro riesce così non solo a ricostruire gli anni d’esilio di Cagli, ma anche a definire i contorni dell’ambiente intellettuale attorno al quale egli gravitava, del contesto sociale e politico in cui maturarono le principali tendenze artistiche a lui coeve e della diplomazia culturale fascista. Infatti, prima di diventare suo malgrado un esule, Cagli aveva contribuito personalmente a promuovere l’arte contemporanea negli Stati Uniti, nell’ambito del disegno politico mussoliniano volto a mantenere buoni rapporti con Washington. Questa strategia, adottata soprattutto al tempo della campagna d’Etiopia «un momento delicato, in cui il regime rischiava l’isolamento presso la Società delle Nazioni» e voleva «attraverso l’arte, rassicurare gli americani» (p. 36), implicava l’organizzazione di iniziative culturali su suolo statunitense, per dare risalto alla vivacità dello scenario artistico italiano e mettere in una luce positiva l’operato del Duce. Proprio in occasione di uno di questi eventi, l’inaugurazione della Comet Gallery a New York nel 1937, Cagli ebbe il modo di venire in contatto con la realtà statunitense. Soffermarsi sulla prima incursione oltreoceano del pittore consente a Bedarida di mostrare come questi, dopo l’entusiasmo iniziale, avesse provato un senso di estraneità rispetto all’ambiente del Nuovo Mondo, un’inquietudine che lo accomunava ad altri suoi connazionali. Fu comunque in questo momento che si avvicinò ad autorevoli personaggi del mondo dell’arte – tra cui Giorgio de Chirico – con i quali avrebbe mantenuto stretti, anche se talvolta conflittuali rapporti negli anni a venire.
Nel volume trova debitamente posto un’accurata descrizione delle opere di Cagli, specie a partire dai fertili suoi primi mesi newyorchesi, quando passò da una fascinazione per il cubismo a una visione surrealista, e poi, trascinato dalla sua grande carica creativa, si accostò anche al mondo del balletto, dove avrebbe lavorato per decenni come scenografo e costumista, realizzando un’originale contaminazione di generi. Tuttavia, nel delineare la personalità dell’artista, spicca per interesse e finezza di analisi la riflessione sul suo senso d’identità nazionale, così profondamente lacerato e sofferto negli anni dell’esilio, ma anche così importante per comprenderne l’opera e la sensibilità.
Questa dimensione viene evidenziata soprattutto nel resoconto degli anni di addestramento e di permanenza nelle forze armate statunitensi di Cagli, che si arruolò volontario nel 1941. Fu una scelta motivata in gran parte dalla necessità di imprimere un’accelerazione all’iter per acquisire la cittadinanza statunitense, ma il bisogno di un nuovo status era figlio soprattutto della sua convinzione che l’arte europea, per quanto apprezzata, fosse boicottata per motivi politici. Non a caso, il periodo nell’esercito coincise con un grande impegno come artista militare, prima in California e poi al fronte, in Europa. Dai lavori di questo periodo, che sono riprodotti sulle pagine e presentati al lettore in parallelo al suo percorso biografico, emergono «un senso di malinconia e di spaesamento» oltre a un’insopprimibile tendenza a idealizzare l’Italia, evocata come un «paradiso perduto» (p. 113), una patria verso la quale il pittore sembra provare solo nostalgia e mai risentimento, tanto che non espresse mai un’esplicita disapprovazione neppure per le leggi razziali di cui era stato vittima.
Anche dopo la fine del conflitto e del periodo di lontananza forzata, le acque intorno a Cagli restarono agitate: la sua rimase una figura controversa per via della sua vicinanza al fascismo negli anni giovanili. Bedarida ha il merito di saper descrivere efficacemente il biennio 1945-1947, accompagnando una rassegna meticolosa della produzione del pittore anconetano al racconto del suo ruolo di promotore della vitalità artistica italiana nella fase della ricostruzione: un’attività in cui egli si impegnò con entusiasmo e generosità e che si tradusse in varie iniziative negli Stati Uniti, curiosamente non troppo dissimili da quelle cui aveva partecipato negli anni trenta. L’artista non sarebbe mai stato completamente accettato e la sua quasi compulsiva vena creativa avrebbe lasciato trasparire anche negli anni successivi un’eloquente «frammentazione» e uno «scollamento identitario» (p. 284), mai del tutto sanati, che gli avrebbero fatto vivere una sorta di secondo esilio.
Francesca Puliga