Luisa si presenta:
Sono giornalista professionista e, dopo 14 anni in una TV regionale (Telequattro Trieste) e dopo il trasferimento all'estero, ho dovuto fare di necessità virtù: ho iniziato a insegnare l'italiano perché non riuscivo a trovare sbocco nel mio campo (purtroppo nel mio settore un "buon livello" di inglese non è sufficiente per competere con i madrelingua...) ma, alla fine, ho scoperto davvero una nuova dimensione che mi da soddisfazione da molti anni.
Collaboro con la società Dante Alighieri di Boston dal 2014 e con l’Italian Cultural Center di San Diego dal 2018, insegnando in particolare a studenti di livello avanzato e altamente avanzato. Oltre alle tradizionali classi di grammatica, ho ideato alcuni corsi di approfondimento culturale con taglio giornalistico per gli studenti più interessati ad approfondire le tematiche di attualità legate al nostro Paese. Non solo: tra i corsi più richiesti, ci sono sicuramente le mie lezioni sullo slang italiano, per capire come parliamo davvero nel linguaggio di tutti i giorni.
Il mio impegno verso la scoperta e il recupero del patrimonio culturale italiano è quindi molto forte. Tra l'altro, per la società Dante Alighieri, sono formatrice degli studenti che affrontano l'esame PLIDA B1 (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri, livello B1) richiesto dal ministero per ottenere la cittadinanza italiana.
Sono mamma di un bimbo di 5 anni e sia io che mio marito siamo convinti dell'importanza di crescere un bambino bilingue. Soprattutto perché il nostro desiderio è di rientrare stabilmente in Italia tra qualche anno.
Uno dei motivi per cui ci teniamo molto a questa intervista è una questione emersa in passato, ma che sta emergendo anche ora, è il ruolo importante che, all’interno della trasmissione dell’italianità, riveste la lingua italiana e tutto quello che ci sta più o meno intorno; quindi la tua esperienza è importante, è importante sentire dall’interno di chi ci lavora.
Ci tengo a una precisazione: collaboro con la Dante, non sono una dipendente, ma collaboro stabilmente, inizialmente dal 2014 e il 2016 quando vivevo a Boston. Dopo mi sono trasferita in California e per 3 anni la collaborazione con la Dante si è interrotta perché all’epoca tutte le lezioni erano in presenza e io, non potendo essere a Boston, ho iniziato a collaborare con l’Italian Cultural Center di San Diego. Tornando sulla Costa Est, quest’anno, visto che tutti insegnano sulla piattaforma Zoom e hanno spostato la didattica online, ho ripreso la collaborazione con la Dante e ora ho un rapporto con entrambi gli istituti. Continuo a fare lezioni con l’Italian Cultural Center di San Diego quasi quotidianamente. Insegno ai livelli avanzati anche se ho avuto anche classi di principianti. Entrambe le scuole sono molto aperte anche nell’ascoltare le esigenze degli insegnanti perché ognuno ha le proprie inclinazioni e a me piace lavorare con livelli avanzati, lavorare su testi. Io sono giornalista professionista, ho lavorato per molti anni in Italia e quindi ho cercato di portare un po’ il mio lavoro anche in questa nuova professione. Mi piace molto leggere testi, guardare video, commentare oltre che fare classi di grammatica anche avanzata. Ho creato un po’ il mio nucleo.
Chi sono i tuoi studenti, gli utenti dei tuoi corsi d’insegnamento? C’è una distinzione tra coloro che frequentano la Dante e coloro che frequentano i corsi offerti dall’Istituto Italiano di Cultura di San Diego?
Posso fare un distinguo in due categorie principali che rispecchiano secondo me le due scuole.
Innanzitutto, ciò che accomuna i miei studenti in entrambe le scuole è l’età: sono per lo più persone sopra i 45-50 anni. Le differenze emergono confrontando le location: Costa Est e Costa Ovest:
sulla Est ci sono studenti che vogliono recuperare le radici delle loro famiglie italiane, moltissime persone, soprattutto a Boston, hanno origini italiane; si tratta di emigrati di quarta, ma anche seconda generazione, ad esempio persone che hanno già superato i 50-60 anni. Bisogna sempre considerare che quando parliamo di quell’emigrazione dobbiamo considerare famiglie che venivano negli Stati Uniti e, tristemente, consideravano l’italiano – la loro lingua madre – quasi uno svantaggio per l’inserimento dei figli nella società americana. Tra la generazione nata qui o trasferita da molto piccoli, ci sono persone che vogliono recuperare le origini, che magari hanno sentito parlare italiano in famiglia, per lo più dialetto; le loro famiglie non insistevano affinché loro parlassero un italiano corretto, anzi scoraggiavano proprio la lingua in famiglia. Però tra genitori e nonni si parlava in dialetto tra la seconda e la terza generazione. Quindi ho molti studenti che vogliono recuperare l’italiano come lingua madre e lo vogliono imparare bene, al di là del dialetto, che io considero invece una grande risorsa e di tradizione. Però loro vogliono imparare un italiano corretto. E questo succede anche con studenti più giovani, quelli tra i 30 e 40 anni, di terza e forse quarta generazione. Non hanno avuto nessun contatto con la lingua italiana perché già i nonni parlavano inglese. Però loro sono attratti dalle loro origini. Ho delle studentesse, soprattutto a Boston e dei casi anche a San Diego, che hanno deciso di trasferirsi in Italia per frequentare l’università. Avevano questo stimolo oltre il recupero delle origini. Ho anche studenti che, sempre nell’ottica di recupero della tradizione familiare, vogliono prendere la cittadinanza italiana attraverso la Dante che è uno dei pochissimi istituti in Italia e all’estero che prepara i candidati a sostenere l’esame di lingua richiesto per ottenere la cittadinanza.
In Italia ci sono solo tre università – Roma, Siena e Perugia - che offrono corsi abilitanti oltre alla Dante. Le sedi estere della Dante permettono di sostenere l’esame. Quindi non ci sono solo studenti che vogliono recuperare la lingua italiana per soddisfazione personale, ma anche per ottenere la cittadinanza. E questo si riscontra più a Boston che a San Diego perché la percentuale di popolazione italiana sparsa tra Boston e New York è molto più ampia.
I motivi per ottenere la cittadinanza sono anche culturali o per poter viaggiare? Per andare in Europa per studiare, per andare avanti e indietro più facilmente, o quasi un fiore all’occhiello?
Direi prettamente questo: culturale e quasi – esagerando – per alcuni è una sorta di riscatto, come a dire io voglio diventare cittadino italiano perché i miei nonni sono venuti qui, e in qualche modo hanno dovuto reprime l’orgoglio di essere italiani; io voglio recuperare questa italianità e diventare cittadino italiano. Ma sono pochi; i più vogliono la cittadinanza più che altro per motivi culturali, poter anche dire ho un passaporto europeo e sicuramente per viaggiare. Chi aveva la fortuna di avere il doppio passaporto viaggiava più facilmente.
L’altra caratteristica che ritrovo su entrambe le coste, ma che è più evidente sulla Costa Ovest, è che gli studenti sono persone che hanno disponibilità economiche, possono viaggiare spesso e trascorrere periodi anche lunghi in Italia. Ho studenti su entrambe le coste che trascorrono metà anno negli Stati Uniti e metà in Italia, per esempio quando sono in pensione e possono permettersi vacanze.
Hanno comprato case o ristrutturato case in Italia?
Per la mia esperienza affittano anche tutto l’anno per esempio a Roma, quindi hanno disponibilità economica. Questa per me è la seconda categoria: persone che viaggiano molto, persone di grande cultura che, pre-pandemia, ogni anno si potevano permettere vacanze lunghe in città belle, città d’arte e comunque città più costose rispetto ad altre in Italia: fare un soggiorno a Firenze ha un costo rispetto a Udine per cui ovviamente sono persone che viaggiano molto, hanno passione per il viaggio, la cucina, amano andare nei ristoranti italiani quelli raffinati sia a Boston che a San Diego, sono persone che amano l’Italia in generale, sono rimasti affascinati dai primi viaggi e portano avanti questa passione. Anche frequentare le scuole dove insegno è un costo perché sono comunque scuole private. I corsi sono a pagamento, non sono prezzi esorbitanti però ogni corso ha un suo prezzo; non sono prezzi altissimi da un punto di vista americano. E poi ci sono coloro che studiano con un insegnante privato, io ho molti studenti che da anni fanno lezioni private con me e, comunque sia, loro sono disposti a pagare.
Oltre a imparare la lingua italiana, i tuoi studenti ti chiedono di parlare loro dell’Italia, delle abitudini italiane, della storia? Cos’è che li intriga di più?
Questo è il motivo per cui a me piace insegnare i corsi più avanzati perché possiamo partire da un testo letterario, propongo di solito testi di autori contemporanei o articoli di Beppe Severgnini su costumi e abitudini. A loro piace e io cerco di trasmettergli un po’ questa curiosità di scoprire; mio marito è napoletano, io triestina e noi stessi rappresentiamo un incrocio nazionale. A loro piace molto quando racconto le diverse usanze tra Nord e Sud, oltre alla lingua, anche il diverso modo di usare i termini, la cucina. Loro sono molto incuriositi; non ho mai dato lezioni di storia perché ci sono altri insegnanti che lo fanno: ad esempio i corsi della Dante sono per lo più di grammatica, ma vengono fortemente arricchiti con letture e approfondimenti culturali; usiamo moltissimo il web e la Dante ha una piattaforma incredibile di materiale a disposizione. Lì possiamo intervenire, ma sempre seguendo un libro con le attività. All’Istituto di San Diego, i corsi sono un po’ più liberi proprio perché seguono un percorso per livelli.
Chi sono gli italiani di San Diego? Vecchia emigrazione?
Devo dire che anche lì dall’esperienza che ho, gli studenti sono persone di seconda e terza generazione, sono ex militari o una professoressa universitaria. A San Diego ho meno persone di origine italiana, sono più che altro americani che possono avere qualsiasi provenienza e decidono di studiare italiano, per esempio coppie che hanno fatto ricerche sulle origini o senza origini, ma sono appassionati amano viaggiare e mangiare bene.
Gli studenti hanno tutti origine italiana?
Alla Dante no, però c’è una buona percentuale di origine italiana; a San Diego, alcuni di origine italiana, ma per lo più di varie origini.
Hai o conosci all’interno della Dante studenti molto giovani? Poco più grandi di tuo figlio, bambini figli di quinta generazione, genitori italiani come voi trasferiti in US che ci tengono a che i figli studino l’italiano in modo formale e non solo attraverso l’apprendimento familiare?
Parliamo di Boston perché è un’esigenza molto più sentita sulla Costa Est. A Boston non c’è solo la Dante che in passato ha proposto corsi a bambini, ma non so come sia andata.
Ho lavorato per un’associazione che si chiama Professionisti italiani a Boston (https://www.piboston.org/educate/italian-saturday-school/), loro sono tutti professionisti arrivati dall’Italia a Boston per lo più impegnati in ambito scientifico perché la città è destinata a questo tipo di persone ed era stata creata una scuola per bambini il sabato mattina, figli dei professionisti e quindi parliamo di tutt’altro tipo di emigrazione. Era una scuola unicamente in italiano con l’idea di offrire anche occasioni di gioco per bambini fino agli 8 anni per ricreare l’occasione, il momento in cui si parlasse solo e esclusivamente in italiano. Io poi ho lasciato però devo dire che so che l’associazione è cresciuta molto e loro si occupano di ricreare un ambiente italiano. I bambini che ho incontrato avevano 3-5 anni e parlavano molto bene l’italiano.
Cosa fanno i nuovi arrivati per i loro figli riguardo l’insegnamento dell’italiano? Li iscrivono a scuole italiane o si limitano a parlare italiano in casa?
Ho prove che fanno fare corsi ai figli. Quindi so di persone che fanno fare full immersion e altre persone che tristemente sembra che si dimentichino delle loro origini.
Io ho un bambino di 5 anni e dobbiamo stare attenti su entrambi i fronti perché parlando solo italiano in casa dobbiamo anche incoraggiare l’inglese perché il bambino va a una scuola americana. Quindi non posso portarlo a riunioni di soli italiani, non posso farlo crescere solo in ambiente italofono. Inizia a essere controproducente sul lato inglese, quindi bisogna bilanciare i due aspetti perché voglio che cresca bilingue e se saremo fortunati tra qualche anno potremo tornare in Italia.
Molte famiglie italiane trasferite negli Stati Uniti non insistono affinché i figli abbiano una buona conoscenza della lingua italiana; dopo un po’ “mollano” e pensano che “basti farsi capire dai nonni”; questa è la costante: il rapporto con i nonni. Ho notato nella mia esperienza che ci sono bambini decisamente portati che passano facilmente da una lingua e l’altra e altri che fanno più fatica e che devono trovare la loro dimensione. Ho amici spagnoli i cui bambini parlano uno spagnolo madrilegno perfetto e un inglese con accento americano fortissimo. I genitori ogni estate mandano i bambini dai nonni per più mesi e li lasciano lì e tornano a lavorare e i bambini fanno i campeggi con gli scout, i giri con i nonni, ritrovano gli amici spagnoli. I bambini sono perfettamente bilingue e devono stare con i loro coetanei per imparare la lingua. Un esempio banale: grazie al cielo c’è Netflix o altri canali che si vedono in tutto il mondo e basta cambiare la lingua. E i bambini vogliono la lingua del posto perché è una forma di comunicazione con i coetanei e se con l’amichetto di scuola parla di un cartone deve comunicare in inglese utilizzando i nomi inglesi dei personaggi e non quelli tradotti in italiano.
É un percorso non facile.
A tavola usate cucinare all’italiana?
Sì, anche se mia suocera dice che mescoliamo troppo, noi ci teniamo molto al menù italiano. Ovviamente lui pranza a scuola e al pranzo ci pensano loro e propongono un po’ di tutto. A casa c’è sempre la pasta, magari cerco di cucinare un po’ più sano, evito i grassi come il burro, per cui pasta al pomodoro a pranzo, la sera o carne o pesce e poi i piatti tradizionali che mio marito adora cucinare ad esempio la lasagna. Poi le polpette, il risotto quindi mescoliamo le cucine nella misura in cui io non posso obbligarlo a mangiare solo cose italiane. Gli faccio provare hot dog, tacos perché vive in una società multigusto. I nuggets magari li faccio al forno; cerco di dare la versione un po’ più sana del menù americano.
Parliamo dell’educazione religiosa:
Il bambino è battezzato, non siamo molto osservanti però per la messa di Natale e Pasqua andiamo a messa; quest’anno che abbiamo trascorso Natale a New York, l’abbiamo portato ad ascoltare la messa gospel. Anche se non siamo particolarmente osservanti io la sera gli faccio dire il Padre Nostro o una preghiera. Anche perché so che in Italia mia madre ci tiene molto, almeno facciamo vedere alla nonna che qualcosa sa.
Visite in Italia e vacanze prima della pandemia?
In estate almeno un mese e mezzo con me perché ho un lavoro più flessibile di mio marito. Lui prima era all’MIT perché è fisico, ora lavora per il privato e si occupa di intelligenza artificiale, ricerca sui dati. Ora ci ritrasferiamo a San Diego e sarà capo di un gruppo di una società privata nel campo della finanza.
Ci parli di New York e delle scuole americane?
Noi vorremmo che nostro figlio avesse un’istruzione in Italia, una formazione in Italia e poi sarà libero di scegliere dove vivere.
Io tengo moltissimo alle letture; da bambina amavo leggere e a sei anni mio padre mi aveva già letto Iliade e Odissea in versione integrale. I miei genitori hanno mandato libri per Natale; la sera leggiamo in italiano o in inglese. Ora mio figlio sta imparando a leggere in inglese e finché non sarà sicuro della lettura in inglese non è bene inserire anche quella in italiano.
Agli adulti quali testi consigliavi nei corsi di lingua?
Avevo a Boston un gruppo di lettura, un book club. Abbiamo iniziato con la Ferrante e abbiamo letto: anche testi di Primo Levi, Ginzburg, Maraini, Fallaci, e tanta letteratura contemporanea, Erri de luca e Manzini, Ammaniti, Baricco.