Teresa Fiore ha una figlia, Daniela, di 13 anni, di origini colombiane adottata a 8 anni e mezzo ed è sposata con Sharad, nato a Calcutta di origini angloindiane.
Mi sono trasferita dall’Italia nel 1955, ho vissuto per quindici anni in California e poi ho fatto un dottorato lì prima di venire sulla costa Est. In mezzo alle due coste c’è mio marito che è indiano di formazione matematica, poi entrato nel mondo della finanza. Stare a New York era importante per lui. Io ho colto l’occasione dell’apertura di una posizione alla Montclair per trasferirmi dove lui risiedeva ufficialmente, anche se per un anno si è spostato con me in California. Quando il mio posto è stato confermato ci siamo trasferiti insieme. Nel 2015 si è concluso il percorso, durato tre anni, per l’adozione di nostra figlia. È stato un cammino tortuoso dal punto di vista burocratico. Abbiamo incontrato Daniela a Bogotà, perché colombiana, quando aveva 8 anni e mezzo. È venuta senza sapere una parola di inglese. La sua lingua era lo spagnolo, è andata in una scuola bilingue. Io parlo spagnolo e sin dal primo momento è stato possibile instaurare un rapporto, ma era importante che imparasse l’inglese. L’ha fatto ovviamente con il padre con cui parlava in inglese e la scolarizzazione a livello elementare è avvenuta in due lingue anche se con una preponderanza inglese. Perché in queste scuole bilingue in realtà non sempre hanno tutti gli strumenti per poter proporre un curriculum in due lingue al 50% e 50%. Per la lingua italiana non esiste questa possibilità nelle scuole pubbliche. A New York c’è la scuola Marconi, che è la scuola italiana che comprende tutti i gradi di istruzione, anch’essa bilingue, ma non era per noi una possibilità perché per noi era importante che in quel momento acquisisse l’inglese.
Che lingua parlate prevalentemente in famiglia?
L’italiano si è inserito abbastanza presto perché da quando lei è con noi, abbiamo sempre passato delle lunghe estati in Sicilia e poi sono venuti i miei familiari in visita e, come potete immaginare, io ho anche una cerchia di amici italiani. È una lingua veicolare anche in ambiti puramente sociali e di incontro, nonché una lingua che uso per la mia professione e ora che lavoriamo da casa è una lingua che riempie la casa. Comunque, Daniela ha acquisito molto velocemente l’italiano sia per la vicinanza allo spagnolo, sia perché le piacciono le lingue. È molto gregaria, la lingua per lei è uno strumento di aggregazione e di comunicazione, e ha sempre studiato le lingue con grande orgoglio e col passare del tempo anche con una curiosità molto spiccata, facendomi domande sulle strutture sul lessico. Adesso ci dice che vuole imparare una quarta lingua, in questo senso siamo stati fortunati. Sento spesso storie di bambini che capiscono, ma si rifiutano di parlare. Lei mi fa domande di grammatica: «Mamma, ma se io fossi. O se io fosse?». Non ho fatto pressioni, perché non volevamo che l’italiano fosse un’imposizione. Siamo stati fortunati perché lei si è tuffata. Poi la musica aiuta tantissimo, conosce i testi di tante canzoni italiane, chatta con gli amici su Instagram e fa incontri Zoom. È una lingua che fa parte della sua vita quotidiana.
Figura 1. Daniela Chaudhary Fiore: Book Sandwich: I eat different languages in New York
Photo credits: Daniela Chaudhary Fiore
My fantastical sandwich shows where I come from and how I want to be seen. Basketball and softball are my two favorite US sports; the trinacria with three legs is the symbol of Sicily, a beautiful place where I spend my summers; the tropical fruits are from Colombia, like the snakes, which remind me also of India.
Daniela Chaudery Fiore
Figura 2. Daniela Chaudhary Fiore, Il fantastico sandwich
Photo credits: Daniela Chaudhary Fiore
Sa anche leggere e scrivere?
Con la lettura se la cava, nella scrittura è più claudicante: oggi i giovani scrivono messaggini frammentati, in codice. Devo dirvi che non ho avuto modo di seguirla su quel fronte. Come genitori dobbiamo intervenire come educatori scolastici nelle aree importanti. Siamo felici che lo faccia in maniera naturale. In pratica la situazione linguistica è stata che per un paio d’anni io parlavo solo spagnolo con lei però in Italia parlavo italiano, il padre ha sempre parlato in inglese. E poi dopo due o tre anni io ho smesso di parlare spagnolo perché a quel punto non era più naturale. Un po’ ci manca, ma lo spagnolo qui si parla per tanti motivi. Io adesso tengo un corso che si chiama italiano per ispanofoni. A New York è la seconda lingua veicolare.
A cena che lingua utilizzate?
Nel momento in cui Daniela si è impadronita dell’inglese, in genere dopo sei mesi i bambini sono già autonomi per i bisogni primari. Lei ha fatto un salto veloce anche se la sua scrittura continua a essere a un livello più basso per la sua età. Ma questo fa parte delle sfide legate al suo percorso; poi l’inglese è diventato più naturale quando ha iniziato a utilizzare aggettivi giovanili. Ovviamente a tavola parliamo inglese, ma se entro nella sua camera parliamo italiano. La mia esperienza del bilinguismo, o trilinguismo nel nostro caso, è che in realtà le aree non sono separate. C’è un po’ questo mito: un genitore parla una lingua, un genitore ne parla un’altra. Non è così, succede solo se i genitori sono monolingue, ma in un momento in cui c’è un bilinguismo diffuso, è un continuo translanguaging e code-switching, è un entrare e uscire, a volte anche all’interno di una stessa frase. Mia figlia spero capirà che le lingue dovrebbero essere la sua via, ma per il momento vuole fare la cestista di pallacanestro. In Sicilia ha imparato a parlare siciliano perché stando tanto ad Agrigento, in particolare quest’anno con la pandemia, è stata ancora più esposta e si è innamorata del siciliano. Quest’inverno eravamo a pattinare sul ghiaccio qui vicino e le nostre chiacchierate erano: «insegnami un proverbio siciliano: che vuol dire picciotto? e perché?» a livello strutturale, lessicale a volte a livello puramente fonetico, mi dice «parlalo, voglio sentirlo». Io lo parlo, ma non attivamente, non è mai stata una lingua spontanea, si parla una lingua ibrida. In famiglia parliamo in italiano perché mia madre è veneto-giuliana. Mio padre e mia madre tra di loro usavano l’italiano. Quando mia madre parlava al telefono con sua madre passava direttamente al dialetto veneto-giuliano. Come me con lo spagnolo. Direi che in Sicilia dipende un po’ dall’estrazione sociale, ma anche con un certo livello di istruzione è facile usare un’espressione in dialetto, è più efficace e colorita. Poi se si va al mercato è possibile che il venditore parli esclusivamente il siciliano.
Dove hai imparato lo spagnolo?
Il mio spagnolo è un amore senza ragione, l’ho studiato per conto mio, cominciando le conversazioni a Trieste dove studiavo, ma non ne avevo bisogno, non faceva parte dei miei studi, non avevo nessun progetto specifico. Poi ho fatto una tesi su una scrittrice Messico americana. Ho fatto una Fulbright sul confino con il Messico perché a quel punto stava diventando parte del mio studio. Stando a San Diego ho capito che stavo in una zona bilingue. Nei dipartimenti c’era anche lo spagnolo. Era una lingua nell’ambito professionale. Adesso lo parlo e lo scrivo nel corso comparato.
Quanto tempo passate in Italia, covid e non covid?
La scuola finisce a fine giugno, partiamo la sera stessa e poi torniamo a ridosso, fino a fine agosto-inizio settembre. Col covid siamo stati 4 mesi e mezzo.
Con l’India siamo stati bravi all’inizio. Abbiamo continuato ad andare in inverno. Poi negli ultimi anni e venuta più la mamma di Sharad qui. L’Italia ha cominciato a diventare una meta più semplice per Daniela perché si stava affezionando ai luoghi, alle persone lì. Un viaggio in India è oneroso da tutti i punti di vista. Negli ultimi anni, tre anni, è saltato. Lui è nato a Calcutta, ma adesso la famiglia si è spostata a Nuova Delhi e noi di solito andiamo lì, stiamo una settimana e poi andiamo a vedere un posto diverso tutti insieme. Con la nonna parla l’italiano.
La mamma di Sharad è di quella generazione dei figli dei primi matrimoni misti tra funzionari coloniali e donne del luogo: il padre era un giudice britannico ha sposato una donna indiana. Mia suocera, frutto di questa unione, ha il passaporto inglese e non quello indiano. Mio marito parla l’hindi che però per lui è una seconda lingua rispetto all’inglese, e ha studiato anche il bengali da piccolo quando viveva a Calcutta.
Tre continenti di provenienza e viviamo in un quarto. Abbiamo capito che è complicato.
Non si può essere turisti per quattro mesi. Daniela voleva andare a scuola ad Agrigento, ma era un momento molto difficile, non sapevamo quando saremmo partiti. Però è una cosa che stiamo considerando perché ci piacerebbe passare un anno lì, se io trovo la possibilità…, mio marito lavora online. Agrigento è un po’ isolata, finis terrae, è un po’ il contrappeso perfetto di New York: un luogo dove ci ricarichiamo, abbiamo la possibilità di vivere in tranquillità; il progetto per noi è di ritornarci a un certo punto.
Vuoi parlarci più nel dettaglio di come si manifesta l’italianità nella tua famiglia?
All’inizio c’erano i libri anche lì c’erano tanti livelli di sfida perché Daniela aveva uno spagnolo mai acquisito a livello scolastico. L’esigenza di esporla all’inglese era primaria, quindi c’è stata sempre una grande cautela da parte nostra nell’introdurre libri in italiano, e quindi se guardate la sua libreria la presenza di testi italiani è marginale. Con la musica l’attività è del tutto indipendente perché le canzoncine dei bimbi piccoli non potevamo proporle a 8 anni e mezzo, anche se non ho potuto rinunciare a cantarle la ninna nanna di Finardi che secondo me è la più bella che esiste. Non c’era il repertorio dell’infanzia, eravamo in un’altra fase, anche se molto ibrida perché presto entrano nel mondo multimediale, però nel suo caso è un’esperienza veramente multilinguistica, la sua playlist è in tre lingue anche con una grande varietà di influenze in termini di genere.
Che generi musicali ascolta Daniela?
Pop e rap, nell’ambito italiano. Poi ha la sua sfera della salsa e bachata, però non tradizionale, più il reggaeton, molto ballabile. La danza fa parte della sua espressione quotidiana. È una ragazzina piena di curiosità, molto istrionica, quindi le occasioni della musica, dell’arte, sta sviluppando un grosso talento artistico. Spesso le parliamo dei classici dell’arte italiana si è innamorata della tecnica sanguigna di Leonardo. Ha fatto un disegno in cui ha messo insieme tutti questi mondi, oggetti che lei lega a un mondo e a un altro e sono diventati il companatico di un sandwich fantastico. Nei film pensavamo di far meglio. Ma sono ragazzini che consumano le cose con canali molto individuali. All’inizio riuscivamo a guardare assieme un film italiano, ma adesso sono nella sfera digitale. A meno che non andiamo a vedere un film insieme al cinema, ma raramente è italiano, perché non esistono per questa fascia di età.
Ha amici italiani a New York?
Ci abbiamo provato all’inizio quando era piccola facevamo qualche gruppo misto, ma poi non si è più riconosciuta con le famiglie più monoculturali. Li incontravamo quando ha fatto qualche lezione scuola italiana il sabato mattina dove andava con gran piacere, ma dopo un po’ la maestra mi ha detto che era già arrivata al livello e rischiava di annoiarsi. Mi diceva: fanno una vita diversa. Lei vuole mantenere la sua sfera latino-americana che a New York non è un’eccezione, quindi gravita in altre direzioni. Ma amici italiani qui no. Ce li ha in Italia. Non sente l’esigenza qui.
Accennavi alla scuola italiana, ce ne vuoi parlare?
A dir la verità l’avevamo considerata già per le medie, perché si stavano trasferendo in una sede bellissima ed era vicina a noi. Invece il progetto è fallito e sono rimasti dove erano prima (92st e 5Av) ma dopo un po’ci siamo resi conto che non avrebbe funzionato per due ragioni: uno perché non riflette appieno la varietà etnica di New York e per nostra figlia la diversità è importante – cerca soprattutto ragazzi/e latino-americani/e, afroamericani/e, ecc., – e, semmai la scuola rivela un cosmopolitismo derivato dal fatto che la frequentano i figli dei diplomatici. Non che sia una scuola d’élite: sono famiglie che devono avere un rapporto vivo con l’Italia, magari una seconda casa o un lavoro fisso in Italia un giorno. È una scuola in cui più si va avanti negli anni più le classi diventano piccole, una classe di meno di 10 studenti non è mai semplice. E secondo perché il loro curriculum è molto scientifico e nostra figlia è portata all’arte quindi non era adatta.
Dicci della scuola del sabato.
La scuola del sabato ha corsi privati pieni di figli di italiani o di matrimoni misti, alcuni ragazzi vanno per far piacere ai genitori, altri imparano perché hanno qualche amicizia, altri sono veramente interessati. Hanno 3 livelli, principianti, intermedio e avanzato, ma questo era frequentato da ragazzi più grandi di mia figlia. Non era un passaggio naturale. Li organizza il braccio locale del consolato. Lo iace. Fanno delle cose bellissime per i bambini li portano a fare la pasta da Eataly, nelle fattorie.
Per me, paradossalmente per la mia professione, non è mai stata mia intenzione quella di renderla il più italiana possibile.
Per quello che riguarda il cibo, come vi comportate?
Diciamo che è stato facile per me perché è l’unica cosa che cucino, quindi ha sempre mangiato italiano, fatto in casa. Papà cucina indiano, ma non abbiamo imparato tante cose indiane perché non è una cucina così semplice da preparare, anche se ha ingredienti meravigliosi. Dal punto di vista culinario Daniela fa anche lei la carbonara, ha fatto un video sul ragù in spagnolo. Le cose che le piacciono di più sono quelle italiane, come la pasta al forno.
Siete mai andati in Colombia con lei?
La prima volta per l’adozione è stato un viaggio molto breve e mirato: dovevano fare alcune pratiche burocratiche e mediche. Abbiamo affittato un appartamento vicino a una mia amica e vivevamo con le famiglie locali. Siamo ritornati una volta, ma non nella sua città, Bogotà. Volevamo stare al mare, l’abbiamo scoperta con lei quella zona caraibica.
Che passaporti avete?
Io ho due cittadinanze italiana e statunitense, Daniela ne ha due colombiana e statunitense e ci stiamo avviando al riconoscimento, ma procede lentamente, mio marito aveva quella indiana, ma ha dovuto rinunciarci per avere la cittadinanza statunitense. Mantenendo però uno status che è quello OIP - Oversee Indian Passport, un librettino in cui si riconosce il fatto di esser nati in India che gli garantisce alcune forme di protezione. La cittadinanza italiana è un nuovo capitolo, ma stiamo scoprendo quanto è difficile. per una persona italiana far diventare cittadino italiano il proprio consorte: un’attesa di 4 anni dopo la consegna.
Si possono avere tre cittadinanze?
Non so di preciso, comunque lui ne ha solo una al momento. Mia figlia ne avrebbe tre.. Quella italiana invece serve a entrambi, perché i mesi che abbiamo passato lì ci hanno fatto capire come non si è tutelati in quanto stranieri, anche se membri di una famiglia di una cittadina italiana. Per Daniela dobbiamo fare il riconoscimento dell’adozione: la procedura è lunghissima e dobbiamo passare attraverso il Tribunale dei minori in Sicilia e poi fare la trascrizione. Solo per i documenti da Bogotà abbiamo aspettato 8 mesi e il plico non è ancora completo. Passerà facilmente un altro anno, credo. Quella di mio marito che a questo punto vogliamo che sia sul piatto perché i nostri programmi a lungo termine sono quelli di passare la nostra vita che può essere il pensionamento ma forse anche prima se ci inventiamo qualcos’altro, se l’Italia ci accoglie non solo come turisti. Abbiamo già comprato un terreno, siamo costruendo una casa e però dovrebbe diventare cittadino italiano per potere stare più di 3 mesi alla volta durante le fasi intermedie. Quello che viene richiesto a un coniuge di una cittadina italiana mi ha lasciato senza parole, ti dicono dalla consegna dei documenti passano 4 anni e la consegna è diventata un gran grattacapo perché bisogna dimostrare anche la competenza linguistica a livello B1 che non è semplice perché va al di la del lessico per comprare cose in un negozio, ci sono strutture grammaticali da imparare. Che per una persona di più di 50 anni con un lavoro a tempo pieno complesso non può essere ora una priorità. Lo dico con un grande risentimento, e voglio scrivere su questo, perché questo esame non è richiesto ai discendenti i italiani. E questa è un’ ingiustizia enorme perché noi come famiglia in questo momento abbiamo una storia di collegamento con l’Italia, io ho una professione che è fatta di diplomazia culturale, fondamentalmente. Adesso stiamo anche investendo in Italia e la nostra prospettiva è un’attesa anche di sei anni se consideriamo lo studio, l’esame. È una missione impossibile perché i documenti che si devono richiedere alla Polizia per dimostrare e presentare per la fedina penale hanno una scadenza di sei mesi, come si possono incastrare queste cose non lo capisco. O si consegnano le cose scadute sperando che la persona che si curerà di questo plico non sia così rigoroso, altrimenti è impossibile, considerato che dobbiamo recuperare documenti in India, dove però finora tutto è stato abbastanza veloce. La geografia transcontinentale non è solo fonte di euforia. Ci stiamo scontrando con delle realtà complicatissime, distanti fisicamente con regole rigide, In questo senso il nostro investimento nell’Italia trova nell’Italia l’alleato meno forte, paradossalmente. In India è andato benissimo finora, in Colombia è stato lento, ma era a causa della pandemia. Gli Stati Uniti sanno essere anche loro burocratici …
Non esiste che un Ufficio Immigrazione ti dica che la cittadinanza te la do fra quattro anni dalla consegna. Magari passano perché ci sono gli intoppi, ma non può essere un’impostazione. Cosa sta facendo il nostro paese per attrarre nuovi residenti – dice che crede negli investimenti stranieri, ma…. Mio marito è diventato una persona che spiega agli americani come non fare queste scelte, perché se poi devi vivere di permessi di soggiorno, comprando un terreno e una casa, non è possibile anche con un avvocato che segue la pratica. Diventa anche una riflessione sulla provincialità del nostro paese perché gestire delle domande di cittadinanza non può essere un’operazione pluriennale; alla fine è un plico con 10 documenti. Ci avevano prospettato il permesso di soggiorno per una sosta più lunga, ma non si può conciliare un permesso di soggiorno con lavori permanenti negli USA. C’è bisogno di maggiore elasticità nel muoversi e 90 giorni di soggiorno alla volta secondo le regole Schengen non sono ideali.
Confrontando l’esperienza di queste nuove migrazioni italiane negli USA con quelle del passato cosa diresti? È tutto diverso o c’è qualche tratto di continuità rispetto alle vecchie seconde generazioni? Sembra che sia tutto un altro mondo?
La differenza più evidente è il livello di istruzione che ovviamente è più alto rispetto al passato. Ma di fondo si tratta sempre di un’emigrazione economica, anche se non dettata dal bisogno disperato, è sempre il risultato di una mancata opportunità professionale in Italia, che viene cercata altrove. Oggi è più facile restare in contatto con l’Italia grazie ai viaggi e alle comunicazioni, entrambi più veloci e meno cari. Ed è anche più facile grazie alla presenza della cultura italiana all’estero in maniera visibile, sia quella formale (cinema, letteratura, teatro, musica, arte) sia quella legata al Made in Italy dal cibo al design alla moda, specie nelle grandi città. E questo permette alle nuove generazioni di discendenti italiani, arrivati alla quarta o quinta generazione in alcuni casi a New York o nel New Jersey, di ricollegarsi alla cultura italiana. I giovani che oggi scelgono di studiare l’italiano rispondono a questo tipo di sollecitazioni, ma è pur vero che in assenza di un contatto diretto con l’Italia permangono, anche tra i giovani italoamericani percezioni fossilizzate dell’Italia – dal pranzo domenicale con i nonni alla parata di Columbus Day – o immagini romantiche di un’Italia della Dolce Vita o paese cartolina. Peraltro, il rapporto tra italiani di arrivo relativamente recente e la comunità storica non è mai facile e spontaneo: i due gruppi sono portatori di visioni ed esperienze dell’Italia piuttosto diverse, e a volte inconciliabili. Sarebbe interessante. a mio avviso, individuare terreni di intervento condivisi, quali la collaborazione nel sostegno allo studio della lingua e cultura italiana, ma con modalità innovative.
Sta nascendo la nuova generazione delle nuove mobilità esaminando i comportamenti dei nuovi genitori…
La mia sensazione che siano genitori che puntano a una formazione cosmopolita; è chiaro che poi l’esperienza di New York è un mondo a sé, se si trova in Kansas il loro mantenimento di una sfera culturale italiana è diversa. Noi possiamo andare a un museo per vedere dei grandi classici che non vedrebbero ad Agrigento. C’è una varietà artistica che trovo qui e che non ho nella piccola realtà in Sicilia. Penso che l’Italia rappresenti, ancora di più con la pandemia, una terra che attira, non siete un Paese accessibile, ma siete un paese auspicabile perché con la pandemia sono emerse le qualità della cultura italiana, della comunità perché nel momento in cui i mondi si sono chiusi ci siamo chiesti quali sono le nostre ancore – i vicini di casa, la famiglia estesa, le persone che ti possono aiutare – rispetto al grande anonimato che funziona quando tutto si muove, ma non quando si ferma.
Quello su cui posso contare andando in Italia come mamma con un percorso diverso, trovo presenza e solidarietà. Qui è difficile far incontrare i ragazzini a volte bisogna pianificare un incontro tre settimane prima.
Festa di San Calogero, Differenza culturale palpabilissima per Daniela, forte potere magnetico.
Rapporti con la generazione dei nonni molto ridotti, la nonna invece è presente, anche se non è un punto di riferimento. Su Skype solo saluti. Molto meno ancora con la nonna indiana.