Dopo essere stata a lungo utilizzata soprattutto come fonte per lo studio delle collettività all’estero, da alcuni anni a questa parte la stampa d’emigrazione italiana è diventata un oggetto di studio in sé. Numeri monografici delle principali riviste specializzate, saggi e volumi hanno ampiamente analizzato caratteristiche, tipologie e funzioni di questi giornali nei diversi paesi, facendo emergere un quadro di straordinaria ricchezza. Quest’ultimo emerge soprattutto dalle Americhe, dove furono fondate le testate più longeve e qualitativamente migliori, come hanno mostrato recentemente Angelo Trento, con la sua pregevole sintesi sulla storia della stampa italiana in Brasile, e ora Pantaleone Sergi, con questo altrettanto valido volume dedicato ai giornali e – non è ridondanza sottolinearlo – al giornalismo italiano in Argentina.
La maggiore peculiarità di questo lavoro, che ne fa un unicum nel panorama della storiografia sull’argomento, è proprio nell’analisi accurata e appassionata che Sergi ci offre di un universo professionale, ma anche umano, pressoché misconosciuto: quello delle decine di giornalisti che animarono per decenni la vita delle redazioni e, con essa, quella delle collettività italiane all’estero.
In tal senso, all’autore vanno innanzitutto riconosciuti due meriti. Il primo è quello di aver ricostruito un gran numero di biografie di giornalisti professionisti e di personaggi attivi a vario titolo nel mondo della carta stampata italiana in Argentina, con una ricerca bibliografica tra Italia, Argentina e Uruguay che, concentrandosi in molti casi su figure minori, immaginiamo certosina. Il secondo, fondamentale, è l’aver approfondito come in concreto funzionava il rapporto tra emigrati, giornali e giornalisti nel periodo della «grande emigrazione», a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli anni venti del Novecento.
In questa fase gli italiani all’estero furono più che semplici lettori/consumatori di un giornale nella propria lingua, perché trovavano nelle maggiori testate dei punti di riferimento a cui appoggiarsi per esigenze svariate, sia pratiche (come la ricerca di un lavoro o di un alloggio) e di tutela dei propri interessi (ad esempio in occasione di conflitti con la giustizia), sia ideali. La «difesa dell’italianità», come veniva chiamata, fu infatti uno dei compiti di cui quantomeno i principali quotidiani si fecero carico, tanto che molti giornalisti rischiarono la vita (e alcuni la persero) in duelli con colleghi colpevoli, a loro avviso, di aver infangato il «buon nome» dell’Italia e dei suoi emigrati.
Sergi illustra con dovizia di esempi l’importanza che ebbero le battaglie condotte dai giornali per la difesa individuale o collettiva degli italiani al Plata. Tuttavia non omette di segnalare che non sempre i fini per cui i giornalisti si mobilitavano erano nobili: sovente rivalità personali e motivazioni molto materiali erano causa di scontri con colleghi italiani che, se non venivano risolti con le armi, finivano nei tribunali, determinando addirittura la chiusura di testate.
Il quotidiano «La Patria degli italiani» e il suo fondatore Basilio Cittadini costituirono l’emblema di tutto ciò. La loro esperienza, infatti, mostra, per un verso, il ruolo cruciale della stampa nelle comunità italiane al Plata e, per l’altro, la complessità e l’articolazione delle reti di relazioni, di affari e quindi anche dei conflitti che si sviluppavano attorno ai principali giornali.
Attivo nel giornalismo italiano in Argentina dal 1869, Cittadini ne divenne la figura centrale già con la fondazione de «La Patria degli italiani» nel 1876 e conservò tale ruolo per quasi quarant’anni, creando giornali e muovendo le fila delle catene migratorie professionali di suoi colleghi tra Italia e Argentina. Protagonista di storiche campagne in difesa dei connazionali, e in virtù di ciò leader riconosciuto della collettività italiana, Cittadini si servì dei suoi quotidiani e dei suoi rapporti con vari esponenti dell’establishment politico e culturale argentino, non solo a favore della stessa collettività ma anche per fare affari.
In particolare, il suo complicato e a tratti conflittuale legame con Ferdinando Maria Perrone, brasseur d’affaire dell’Ansaldo a Buenos Aires e a lungo finanziatore della Patria, rivela come neppure la stampa italiana all’estero fosse immune dal principale vizio della nostra stampa nazionale: la mancanza di indipendenza dai poteri economici. A propria volta, le attività e il tessuto di relazioni di Perrone e Cittadini tra Italia e Argentina, analizzati approfonditamente nel libro grazie alla preziosa fonte costituita dai carteggi conservati nell’Archivio Storico dell’Ansaldo, costituiscono una ennesima riprova della forte osmosi e circolazione di persone che esistette per decenni tra i due paesi.
Ci si può chiedere fino a che punto possano ritenersi paradigmatici casi come quello del direttore-deus ex machina de «La Patria degli italiani» e, più in generale, quello dell’Argentina, che fu considerata nei decenni del grande esodo transoceanico una sorta di «altra Italia», per i numeri assoluti e relativi degli ingressi di italiani. Tuttavia, se anche sono per alcuni versi senza dubbio eccezionali, questi casi si possono comunque assumere, a nostro avviso, come rappresentativi sia di una parte non piccola dell’emigrazione che raggiunse, oltre all’Argentina, gli Stati Uniti e il Brasile, sia della sua carta stampata.
In tutti e tre questi paesi (e soprattutto nelle città che ricevettero i contingenti più folti di immigrati dalla penisola, e cioè rispettivamente Buenos Aires, New York e San Paolo) esisteva un pubblico ampio per i giornali italiani, a causa della tendenza all’insediamento prolungato degli emigrati e della distanza che li separava dall’Italia. Fiorirono, perciò, centinaia di fogli e periodici, nonché decine di quotidiani, che in alcuni contesti e momenti uscirono dai confini della collettività e rivaleggiarono per prestigio e diffusione con la stessa stampa «indigena».
Per quanto le vicissitudini de «La Patria degli italiani» e di Cittadini costituiscano il filo rosso attorno al quale si snoda il racconto del libro e occupino la metà dei quattordici capitoli in cui è organizzato, Sergi ci offre un affresco quasi completo della produzione giornalistica italiana in ambito platense, dando ampio spazio alla stampa specializzata e di settore, dai periodici umoristici e culturali ai fogli socialisti e anarchici, e alle testate minori nate nell’interno del paese.
Il volume, che proficuamente inscrive la storia della stampa e dell’emigrazione italiana in quella dell’Argentina, abbraccia un arco cronologico quasi secolare, prendendo le mosse dagli anni ottanta dell’Ottocento, quando il mazziniano Giovanni Battista Cuneo fondò i primi fogli di ispirazione mazziniana al Plata, e giungendo agli anni trenta del secolo scorso, quando le pressioni e le manovre del regime fascista costrinsero alla chiusura de «La Patria degli italiani».
Questa scelta dell’autore è motivata dall’importanza che ebbe la storica testata, nel contesto argentino ma anche per la storia della stampa italiana all’estero (e diremmo anzi di quella italiana tout court), trattandosi probabilmente del miglior prodotto giornalistico dell’emigrazione. Il 1930 rappresenta, inoltre, una cesura nella storia dell’emigrazione italiana in Argentina, che per gli effetti della crisi mondiale del 1929 si ridusse ai minimi termini fino al secondo dopoguerra.
Tuttavia una ricognizione di questo respiro e complessità, condotta tra l’altro con un piglio quasi narrativo, inevitabilmente induce il lettore specialista ad auspicare che l’autore possa estendere la sua ricerca al secondo dopoguerra, per raccontarci la fine della storia. O, forse, soltanto la sua evoluzione, visto che oggi in Argentina si pubblicano oltre sessanta testate in lingua italiana, tra quelle cartacee e quelle online.
Federica Bertagna