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Emigrazione e colonizzazione in Libia e Africa orientale

Gian Luca Podestà, Università di Parma 

Prologo

Nel 1927 Domenico Simoncelli, un giovane assistente dello statistico e demografo Corrado Gini all’Università di Roma, formulò una singolare proposta per risolvere i problema degli incroci razziali e incrementare le famiglie italiane nelle colonie. Per Simoncelli era indispensabile facilitare il riconoscimento e l’attribuzione della cittadinanza italiana ai meticci (Pogliano, 2005, p. 244). Il «temperamento» dei latini era più idoneo a favorire le unioni miste e l’assimilazione rispetto agli anglosassoni, che dominavano piuttosto che plasmare. Se i rapporti misti erano quasi inesistenti in Libia e Somalia, il loro numero cresceva invece in Eritrea, ove però i meticci godevano di uno status sociale precario, malvisti dagli italiani e disprezzati dagli africani. Tuttavia, se fossero stati educati e protetti, avrebbero potuto comporre un ceto di cittadini «buoni, laboriosi, onesti e civili». Nel futuro era anche auspicabile pensare a «una graduale sostituzione» della popolazione africana con «nuovi elementi» nei quali gli italiani avrebbero inoculato per incrocio «il proprio sangue, le proprie doti e cultura, facilitando l’estensione di una nuova società coloniale»:

È il bianco che ha invaso e invade il mondo e moltiplica ogni giorno le sue conquiste; è lui che va a cercare nei loro paesi le razze colorate e mischia ovunque il suo sangue con il loro. Presso a poco tutte le popolazioni meticce lo riconoscono per padre; e questo dà per risultato che esse sono educate al livello della razza madre superiore.

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