Javier P. Grossutti, Via dall’Istria. L’emigrazione istriana dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi anni quaranta del Novecento

Trieste-Fiume, Università Popolare-Unione Italiana, 2013, pp. 271 + 1 cd-rom.

La ricerca di Javier P. Grossutti indaga l’emigrazione dalla penisola istriana nel lungo periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento all’inizio della Seconda guerra mondiale. Si tratta di poco meno di un secolo, nel corso del quale questa regione cessa di appartenere al Küstenland austriaco, per diventare parte del Regno d’Italia. La scelta dell’area e del periodo storico si motivano con il fatto che hanno finora ricevuto scarsa attenzione perché l’emigrazione originata dalle vicende postbelliche ha messo in secondo piano i flussi precedenti.

Grossutti traccia un ampio quadro dei movimenti migratori della popolazione istriana, sia all’interno sia fuori dai confini dell’Impero, prima, e dell’Italia, poi, ricostruendo gli itinerari e le tappe dei percorsi di espatrio, le catene familiari e professionali, il ruolo delle istituzioni e delle agenzie di reclutamento.

Il libro si divide in due parti: la prima si ferma alla Grande guerra, la seconda tratta il periodo tra i due conflitti mondiali. Fino al 19 marzo 1920, quando il decreto di annessione lo integra nella Venezia Giulia, il territorio istriano ricade sotto l’amministrazione asburgica. La regione, tra le meno ricche dell’Impero, ha un’economia basata soprattutto sull’agricoltura ed è caratterizzata dallo squilibrio tra un entroterra molto arretrato, abitato da popolazioni di lingua slovena e croata, e l’area costiera «dove si concentra la borghesia di lingua italiana, formata in prevalenza da proprietari terrieri e da liberi professionisti» (p. 14). L’emigrazione, sia temporanea che permanente, è fenomeno diffuso e ben documentato fin dal primo censimento austriaco del 1857, sebbene si tratti spesso di flussi di marittimi oppure di migrazione interna all’Impero: donne di servizio a Trieste, lavoratori impiegati nel Lombardo-Veneto, Carinzia, Carniola e Croazia-Slavonia.

Il secondo censimento, del 1869, evidenzia nuove destinazioni: accanto all’Europa compaiono anche le Americhe e l’Africa. In quest’ultima la meta più frequente è Alessandria d’Egitto, dove trovano lavoro le domestiche, le cosiddette «egiziane», mentre gli uomini si impiegano come braccianti nella costruzione del canale di Suez oppure come guardie di pubblica sicurezza pagate dal governo inglese.

L’emigrazione verso le Americhe è testimoniata fin dalla metà dell’Ottocento. Negli Stati Uniti, gli istriani si distribuiscono variamente, privilegiando la costa orientale dove arrivano come equipaggio di navi commerciali, da cui disertano una volta in porto. Il fenomeno diventa particolarmente vistoso nel decennio 1890-1900, a causa della crisi della navigazione a vela, che crea disoccupazione in un settore tradizionale dell’economia istriana. A New York e a Philadelphia si formano le prime colonie di istriani, che i successivi flussi amplieranno in modo consistente, soprattutto dalla fine dell’Ottocento. È il profilo professionale a determinare le scelte degli emigrati, attirati dagli stipendi più alti: i minatori di Albona si dirigono nelle miniere della Pennsylvania, i marittimi di Fianona si impiegano come portuali a New York, i muratori si spingono fino in Oregon, per la costruzione dell’esposizione universale di Portland del 1905.

Sul finire dell’Ottocento, fioriscono le agenzie di reclutamento. Alcune sono dirette emanazioni delle compagnie di navigazione, interessate a intercettare i flussi in uscita dall’Impero. Non tutti i mediatori sono onesti e le autorità austriache, consapevoli delle numerose frodi a danno dei migranti, «gente inesperta» (p. 61), si adoperano per mettere in guardia la popolazione.

L’annessione innesca una fase di assestamento, durante la quale partono il personale dell’amministrazione austriaca, il ceto impiegatizio e i professionisti sloveni e croati, spaventati dall’incertezza e dalle minacce che accompagnano la politica di snazionalizzazione avviata dalle autorità italiane. Tuttavia, la motivazione politica non è dominante nella scelta di emigrare. A parte il caso degli studenti che frequentano la scuola in Yugoslavia e che, agli occhi dei nuovi governanti, costituiscono un collegamento preoccupante tra la comunità istriana e l’irredentismo slavo, le ragioni identitarie e politiche si intrecciano strettamente con quelle economiche.

Infatti, il passaggio al Regno d’Italia aggrava la crisi di un’area povera di infrastrutture e i cui prodotti agricoli, vino e olio, non sono valorizzabili sul mercato interno. A partire dal 1921, l’emigrazione riprende: in Romania, con la quale il governo italiano ha stretto degli accordi, in Brasile, Canada, Stati Uniti e anche in Australia. La situazione occupazionale diventa ancora più pesante tra il 1923 e il 1924, dopo la duplice chiusura dell’Arsenale di Pola e delle miniere dell’Arsa, che determina un ulteriore incremento dei flussi migratori. Per riassorbire in parte la disoccupazione dei minatori, il Commissariato Generale dell’Emigrazione sottoscrive, nel 1924, un accordo con il Ministero del Lavoro francese, che dà il via all’insediamento di molti istriani di Albona nella regione del Pas de Calais. Successivamente i minatori istriani vanno a popolare anche le aree minerarie del Belgio e dell’Olanda, senza incontrare ostacolo alcuno nel governo fascista, il quale, anzi, era favorevole all’emigrazione «temporanea» in Europa.

Contadini e arsenalotti, dopo la forte limitazione dei flussi in entrata stabilita nel 1924 dagli Stati Uniti, si dirigono soprattutto in Argentina, paese che, per il tipo di prospettive offerte, diventa la prima destinazione della manodopera istriana fino agli anni trenta, quando la realizzazione di opere pubbliche avviata dal fascismo favorisce la mobilità interna .

Il lavoro di Grossutti, pregevole per l’accuratezza dello studio e la capacità di ricostruire il quadro storico nel quale i documenti si inseriscono, avrebbe forse potuto trovare una struttura narrativa meno dispersiva. Al volume è allegato un cd-rom contenente, oltre al testo del volume, i dati provenienti dall’archivio di Pisino e da quello online di Ellis Island, gli arrivi a Buenos Aires dal 1910 al maggio 1940 ricavati dalla banca dati del Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos e l’elenco degli emigrati dalla Venezia Giulia dal 1921 al 1937, con relative destinazioni, tratte dall’Annuario statistico dell’emigrazione e, dopo il 1926, dalle tabelle dell’Istituto centrale di statistica.

 

Anna Consonni