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Giulia Fassio, L’Italia non basterebbe. Migrazioni e presenza italiana a Grenoble dal secondo dopoguerra

Roma, Cisu, 2014, pp. 300, € 23,90.

Tra i molti studi sulla presenza italiana in Francia questa recente ricerca su Grenoble ha il merito di puntare l’attenzione su anni e problemi ancora poco approfonditi. Grazie alla sua provenienza disciplinare, la giovane antropologa ha svolto una ricerca sul campo sulla comunità italiana giunta nella città transalpina con gli ultimi flussi postbellici e sui più recenti protagonisti delle «nuove mobilità», seguendo così una delle piste più indicate ma tuttora meno seguite nell’attuale dibattito sulle migrazioni italiane. Fino a pochi anni fa, infatti, ancora ci si interrogava sulla possibilità di definire come migrazioni i nuovi movimenti all’estero degli italiani e su come affrontarli nel più ampio quadro della storica mobilità nazionale.

Giulia Fassio parte proprio da questo interrogativo per studiare in concreto, in un contesto urbano francese caratterizzato dalla lunga presenza italiana, «la stratificazione» dei flussi che dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi ha condotto nella città dell’Isère, accanto ai più anziani immigrati, ai loro figli e nipoti, anche i nuovi «espatriati», con un’età non lontana da quella delle terze generazioni dei nati in Francia. Di questo mondo composito lo studio focalizza in particolare le dinamiche familiari, le reti di parentela e le forme associative, con un’attenzione mirata alle modalità di trasmissione delle memorie e allo sviluppo dei legami plurimi e transnazionali degli immigrati di varie generazioni. La ricerca, quindi, pur essendo condotta esclusivamente nel contesto urbano di Grenoble, si colloca in una prospettiva ben distante dall’ottica integrazionista di certi studi francesi e risente piuttosto dell’insegnamento di quegli antropologi come Maurizio Catani che, già circa un trentennio fa, ponevano l’accento sulla «bilateralità dei riferimenti e della reversibilità orientata delle scelte» da parte dei soggetti, opponendosi così alla tesi assimilazionista della «trasparenza» italiana.

Nel suo scritto l’autrice utilizza le rilevazioni statistiche del francese insee, dell’istat, della Fondazione Migrantes, dell’aire, le fonti archivistiche dipartimentali dell’Isère, quelle del municipio e della Missione cattolica italiana di Grenoble, ma attinge soprattutto alla sua ricca raccolta di oltre settanta testimonianze orali. Il quadro disegnato a partire da questo articolato bagaglio di documenti demo-storico-antropologici mette a fuoco, dall’interno stesso della comunità, i passaggi significativi che hanno attraversato la vita familiare e quella collettiva degli italiani di Grenoble nell’arco di oltre un sessantennio. Lo scritto prende infatti le mosse dal nodo doloroso del coup de poignard dell’Italia fascista e dai tentativi di superarne le incresciose conseguenze per la comunità italiana attraverso il riscatto politico e l’elaborazione di una memoria collettiva democratica negli anni postbellici; descrive poi i rapporti e i contrasti tra vecchi e nuovi immigrati dopo la ripresa dei flussi nel dopoguerra; focalizza inoltre i caratteri del passaggio generazionale degli anni settanta-ottanta; e arriva infine alle traiettorie seguite nei più recenti arrivi, analizzando anche le relazioni concrete e simboliche stabilite dai vari protagonisti con Francia, Italia ed Europa.

Particolarmente attenta alle scansioni del ciclo della vita domestica, Giulia Fassio fornisce sia una lettura non scontata delle scelte coniugali considerate «miste» (ma con ricorrenze talora endogamiche anche nelle nuove generazioni, per motivi imputabili più al costume delle vacanze in Italia che alla chiusura etnica in contesto francese) sia un non consueto esame della condizione degli anziani immigrati. E anche in questo caso giunge a risultati non scontati tanto sul mancato, seppur talora desiderato, ritorno al paese di origine, quanto sulla presunta maggiore presenza delle reti familiari per sostenere la vecchiaia nel contesto migratorio. Le stesse reti formali della vita associativa, del resto, sono analizzate in modo altrettanto originale. Le trasformazioni delle associazioni italiane da politiche a regionali (o locali) vengono lette infatti non solo alla luce dei grandi eventi della vita pubblica italiana e francese, o degli interventi istituzionali dall’alto, ma in stretta sintonia con i mutamenti delle relazioni di parentela interni alla comunità e con l’erosione dei legami familiari. Un fatto che spiega anche perché, tra le altre motivazioni, le associazioni più recenti siano frequentate maggiormente dagli immigrati di età più avanzata.

La ricerca cerca di fornire infine alcune chiavi di lettura per rispondere ai quesiti che oggi si sollevano sui rapporti di continuità tra la storica emigrazione postbellica e le ultime mobilità degli italiani. Dagli anni ottanta in poi, infatti, con lo sviluppo di Grenoble come polo di alta tecnologia, la città è diventata sempre più una meta di nuove forme di migrazione qualificata che ha seguito percorsi di inserimento solo in parte diversi da quelli del passato. Se le catene migratorie sono state fino alla conclusione dell’esodo di massa il meccanismo prioritario di stimolo e accoglienza in una città con una forte componente italiana, e talora con una decisa connotazione regionale o locale, oggi gli arrivi seguono itinerari meno riconducibili alle origini territoriali ma non del tutto estranei all’intervento delle reti familiari. In una mobilità nella quale sono prevalenti i caratteri del non radicamento, della precarietà e che per molti dei nuovi protagonisti (con esperienze transnazionali) si configura quasi come una migrazione interna, la presenza della famiglia, sia quella in Italia che a Grenoble, non è affatto secondaria. Non solo, ma in certi casi i nuovi arrivati si stabilizzano con il matrimonio e diventano a loro volta gli anelli di richiamo per fratelli o parenti più giovani. Tra i nuovi migranti, inoltre, non si contano solo tecnici, professionisti e laureati, ma anche giovani meridionali che si trasferiscono a Grenoble alla ricerca di un lavoro qualsiasi, contando sull’accoglienza domestica della parentela di più antico insediamento e che, non di rado, sono anche assunti nell’edilizia grazie all’intermediazione o alla gestione delle imprese da parte dei familiari. Si tratta, come sottolinea la stessa autrice, di un nuovo capitolo della storia delle migrazioni italiane ancora in gran parte da esplorare. Ma su tale capitolo, va aggiunto, la ricerca mirata su Grenoble ha aperto già alcuni spiragli significativi che, grazie proprio al suo taglio storico-antropologico, permettono di individuare alcuni degli elementi di continuità e di discontinuità rispetto al passato.

Paola Corti

 

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