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Gianfranco Cresciani e Bruno Mascitelli (a cura di), Italy & Australia. An asymmetrical relationship

Ballarat (VIC), Condor Court Publishing, 2014 , pp.295

Il titolo di questo volume, che può sembrare criptico a uno sguardo superficiale, ben sintetizza i risultati dei vari saggi che vi sono riuniti, convergenti nello sfatare un diffuso luogo comune concernente una mai dimostrata intensità di scambi reciproci e di interessi fra i due paesi. All’origine di tale luogo comune sta il flusso migratorio che, soprattutto dopo l’accodo bilaterale firmato nel 1951, ha condotto circa 400.000 italiani nel continente, dando luogo a una collettività di 916.000 persone, che al censimento del 2011 si sono dichiarate originarie della penisola. Questo massiccio trasferimento di popolazione ha reso familiare il continente nuovissimo a un numero consistente di italiani, ma non ha scalfito una sostanziale estraneità politica, economica e culturale che persiste fra i due paesi. È questo quanto emerge dai differenti aspetti analizzati nei vari saggi che compongono il volume, completato da una breve premessa di Richard Bosworth, giustamente severa con i risultati della politica estera, oltre che di quella interna, conseguiti dai governi di centro-destra. Questa ha risospinto l’Italia in una condizione di totale irrilevanza politica nella gerarchia mondiale del potere, che ha puntualmente trovato riflesso nell’ulteriore allontanamento culturale e politico registrato fra i due paesi. Ai due curatori si devono oltre metà dei saggi che compongono il volume, poiché Mascitelli è autore del saggio di apertura, intitolato «Italy and Australia. Different origins-Different strategies, e di Australia-Italy: A not so "Special" Trade Relationship», mentre Cresciani è autore di una attenta analisi delle relazioni culturali fra i due paesi nella seconda metà del Novecento e della ricostruzione biografica di Isidoro Alessandro Bertazzon, anarchico italiano, perseguitato ed espulso da vari paesi e infine approdato in Australia all’inizio degli anni venti. Nei suoi scritti, Mascitelli mostra come nonostante l’incoraggiamento all’immigrazione italiana, prodotto dalla svolta del «Populate or perish» attuata fin dal 1945 dal leader laburista Arthur Calwell, le vicende dei decenni successivi non avrebbero incoraggiato ulteriori convergenze. Da parte australiana si è assistito alla riduzione progressiva del flusso migratorio dalla penisola, all’allontanamento dalla Gran Bretagna prodotto dalla politica avvicinamento di quest’ultima alla comunità economica europea, e infine all’abbandono della politica immigratoria della cosiddetta «White Australia», con l’apertura agli immigrati dal Sud-Est asiatico. Anche da parte italiana una serie di scelte politiche hanno reso non facili rapporti diplomatici con il lontano stato australe, prevalentemente a causa di altre priorità che hanno guidato la politica estera della repubblica. Di fatto, un’indagine condotta nel 2006 per capire cosa gli australiani pensassero degli altri, condotta nei confronti di 40 paesi, fra cui la Francia, la Germania, e la Gran Bretagna in Europa, oltre ovviamante alla Cina e agli Stati Uniti, non prendeva neppure in considerazione l’Italia. Essa confermava del resto quanto emerge dal secondo saggio di Mascitelli, dedicato all’assenza di una qualche «relazione speciale» fra i due paesi. La verifica di una bassa relazione fra l’immigrazione dalla penisola e l’incremento dei traffici bilaterali fra i due paesi permette all’autore di sfatare ciò che egli definisce come una «leggenda metropolitana»: vale a dire la percezione del ruolo strategico svolto dalle relazioni economiche fra i due paesi. Nonostante i momenti di scambio vivace e anche di crescita dei rapporti commerciali, ciascuno dei due paesi ha adottato e confermato nel tempo scelte strategiche in accordo con la rispettiva collocazione geopolitica: l’Unione europea per l’Italia, i rapporti con il mondo asiatico per l’Australia.

Tale distanza è confermata dalla parabola delle relazioni culturali fra i due paesi ripercorsa da Cresciani, bene esemplificata dal caso della Fredrick May Foundation, nata nel 1976 e chiusa nel 1999. Per quasi un quarto di secolo l’istituzione, dedicata al titolare della prima cattedra di italiano inaugurata nell’Università di Sidney nel 1963, ha promosso una intensa attività di scambi, sotto la direzione di Paul Sonnino, rifugiato ebreo e fondatore del movimento antifascista Italia libera durante la guerra. L’esordio, fra il 1978 e il 1979, fu la pubblicazione dei due volumi Altro Polo. A volume of Italian studies, e del primo congresso australiano dedicato alla cultura italiana e all’Italia contemporanea, che, per iniziativa di Cresciani, Bosworth e Roslyn Pesman portò nel continente nuovissimo molti fra i nomi più rappresentativi del mondo della ricerca storica e artistica. Grazie alla sponsorizzazione di molte aziende multinazionali italiane, dalla Fiat all’Alitalia alla Olivetti fino alla Ferrero, e anche alla politica multiculturale adottata al tempo dal’Australia, fu possibile dare vita nel 1982 e nel 1986 ad altre due edizioni del congresso, che confermarono il ruolo della May Foundation come principale strumento per le relazioni culturali fra i due paesi. Dal 1987 tuttavia un repentino cambio di direzione, segnato anche da dissapori e amarezze personali, con l’allontanamento dei principali animatori, accusati di pericolose connivenze con la sinistra marxista, e anche degli sponsor che ad essi avevano fatto riferimento, segnò l’inizio di una fase discendente che si protrasse fino alla chiusura del 1999. Alla sua scomparsa altre istituzioni, soprattutto espressione di università e biblioteche, hanno assunto maggiore rilievo; fra queste risalta per il generoso impegno finanziario la Fondazione Cassamarca di Treviso, che nel 1999 ha erogato sei milioni di dollari per gli studi umanistici condotti dall’università della Western Australia di Perth, cui ne sono stati aggiunti altri 900.000 per undici anni, per un totale di 22,5 milioni di dollari, a finanziamento dell’ Australasian Centre for Italian Studies di questa università.

 Altri tre saggi affrontano temi attinenti alle relazioni politiche e diplomatiche fra i due paesi in momenti diversi: Catherine Dewhirst analizza la condizione dei migranti italiani in Australia fra il 1883 e il 1940, sulla base delle clausole sancite dal trattato di Commercio e navigazione stipulato fra Italia e Gran Bretagna nel 1883; mentre Karen Agutter illustra le relazioni fra i due paesi nel corso della Prima guerra mondiale. Gerardo Papalia conclude questa parte dimostrando quanto la diplomazia di Mussolini, condotta dall’ambasciatore Vita-Finzi, sia stata efficace nell’abbinamento fra diplomazia palese e attività lobbistiche, allo scopo di mettere in difficoltà il governo australiano. In occasione delle sanzioni all’Italia decise dalla Società delle nazioni in seguito all’attacco all’Etiopia, questo venne costretto a scelte difficili fra la fedeltà al Commonwealth e i suoi interessi commerciali.

Nelle conclusioni gli autori, sottolineando le molte prospettive in cui è stata declinata la relazione asimmetrica fra i due paesi, aggrediscono anche un ultimo mito: quello dell’integrazione e della generalizzata ascesa sociale degli immigrati italiani. In realtà questi ultimi non hanno ottenuto risultati diversi dal quelli della media della popolazione. Molti fattori, identificati nelle differenze di regione, di classe e di genere, nell’isolamento delle Little Italies, nelle barriere linguistiche, hanno rallentato il loro percorso, congiurando soprattutto a frenare la loro partecipazione alla società di arrivo e in definitiva tenendoli lontani dal potere politico.

Patrizia Audenino

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